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I motori di ricerca promettono più privacy

C’è un nuovo spettro che turba il sonno dei motori di ricerca su Internet: la privacy. Da quando la Commissione Europea e la Federal Communications Commission degli Stati Uniti hanno iniziato a investigare sull’operato di Google – soprattutto in materia di gestione dei dati degli utenti – tutti i principali attori del mercato si sono subito impegnati a lanciare e promuovere pubblicamente nuove e virtuose iniziative, mirate a migliorare la tutela della privacy e delle informazioni sensibili di chi effettua le ricerche online.



Il passo più lungo lo ha compiuto Ask.com, che del lotto dei big è di sicuro il servizio meno conosciuto. La scorsa settimana ha presentato AskEraser, uno strumento che permette agli utenti di decidere se vogliono che le informazioni sulle loro ricerche non vengano conservate nei database del sito. Yahoo! ha risposto dichiarando che intende rendere tutti i dati anonimi dopo tredici mesi dalle ricerche. E Microsoft ha preannunciato il varo di nuove tecnologie che proteggano la privacy degli utenti del suo servizio Live Search, sottolineando anche la necessità di formare un tavolo comune con le altre “search company”, tramite il quale decidere standard e limitazioni di un settore ancora piuttosto libero e privo di regole.



Anche la leader del mercato, Google, non è stata con le mani in mano. Su uno dei suoi blog ufficiali sono state pubblicate alcune linee guida per il futuro. Primo, le informazioni sugli utenti verranno rese anonime diciotto mesi dopo le ricerche. Secondo, i cookie che si nascondono dentro i pc conservando il tracciato dei siti consultati e delle preferenze di navigazione si cancelleranno automaticamente dopo due anni (fino a oggi, la data di evaporazione era fissata univocamente al lontano 2038).



Che i fantastici quattro della ricerca online si siano mossi tutti allo stesso momento non è casuale. Le problematiche e le preoccupazioni relative alla tutela della privacy sono aumentate in modo esponenziale negli ultimi anni, parallelamente alla crescente diffusione di Internet, al suo utilizzo ormai regolare e quotidiano da parte dei cittadini e agli intrecci commerciali con il mondo della pubblicità che hanno reso il settore uno dei più ricchi della web economy.



Solo nel secondo trimestre dell’anno Google ha incassato quasi quattro miliardi di dollari, in gran parte provenienti dalle inserzioni sul suo sito di ricerca principale. Secondo le ultime stime dell’istituto di ricerca comScore, la società di Mountain View tiene le redini del mercato, attirando sui suoi siti il 49,5 per cento delle ricerche online. Yahoo! è seconda al 25,1 per cento, seguono Microsoft al 13,2 e Ask.com al 5.



Da tempo la Commissione Europea sta tenendo d'occhio Google per verificare se nella gestione dei dati degli utenti vi siano violazioni delle leggi continentali sulla privacy. Dall’altra parte dell’Atlantico, la Federal Communication Commission sta invece passando ai raggi x la recente acquisizione dell'azienda di DoubleClick, un servizio specializzato nella gestione di inserzioni e banner pubblicitari online. Ad agosto anche Microsoft dovrebbe chiudere un’operazione simile, con l’acquisto di aQuantive, rivale di DoubleClick. E anche lei probabilmente finirà nel mirino della FCC.



Sarebbe proprio questa la ragione, secondo analisti e addetti ai lavori, del turbinio di iniziative legate alla privacy. Per evitare lunghi e spiacevoli confronti con le istituzioni, le protagoniste del mercato avrebbero tutto l'interesse a varare un codice di autoregolamentazione che da un lato offra maggiori garanzie agli utenti (venendo così incontro alle esigenze di authority e associazioni di consumatori) e dall'altro permetta loro di proseguire tranquillamente nella gestione della redditizia raccolta di pubblicità legata alle ricerche online.


... da lastampa.it




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